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Il Pittore

C’era una volta un Pittore.
Non era né famoso, né il migliore, ma era un Pittore con la P maiuscola perché sapeva realmente dipingere.
Amava in modo smisurato l’Arte e cercava in ogni secondo della sua vita un imprevisto che potesse ispirargli qualche motivo per creare.
Diceva che dagli errori spesso escono le cose più belle ecco perché attendeva gli sbagli.
Era un pittore della corrente naturalistica.
Adorava dipingere di natura e per la natura.
Un giorno era vicino al fiume come ogni sabato pomeriggio e ricreava sulla sua tela l’arcobaleno di colori che il flusso dell’acqua giocava con la luce del sole.
Si avvicinò una signora.
Benestante.
Discreta nel suo portamento.
A bassa voce gli disse: “vorrei commissionarle un dipinto per la mia villa.”
Lui: “mi dica pure signora, cosa preferisce?”
“Vorrei che dipingesse il mio giardino”
“Perfetto signora mi dia l’indirizzo e da domani potrò iniziare”.
Così fu.
Il giorno seguente, pur essendo una domenica, lui si recò nella grande villa della Signora , si posizionò in un angolo e incominciò a fissare ogni angolo di quel verde giardino. C’erano statue di bambini, fiori colorati, palme, querce, piante esotiche e poi una grande gabbia piena di uccelli colorati.
Il Pittore perse tutto il pomeriggio per fissare quelle immagini nella sua memoria.
Quando si stancò, prese il suo sgabello e disse alla signora “A domani”.
La proprietaria un po’ incredula lo salutò.
Fece così per vari giorni.
Voleva cogliere ogni minimo scorcio di quel piccolo capolavoro.
Era un giardino maestoso, ben curato e pieno di colori.
Lui per sua indole non poteva perdere nemmeno uno di questi dettagli.
Poi però , così all’improvviso, iniziò a dipingere con calma.
Pomeriggio dopo pomeriggio.
In silenzio.
Dopo circa un mese la Signora curiosa si avvicinò al quadro per capire come stessero evolvendo i lavori.
E lo vide già concluso.
“Ma e’ bellissimo, e’ così reale. Complimenti mio caro, le devo fare i miei più sentiti ringraziamenti. Tanta e’ la perfezione che sembra più una foto che un dipinto, davvero complimenti. ”
“No Signora, non e’ finito.”
“Come no? Ha dipinto tutto, in ogni minimo dettaglio, ed e’ meraviglioso quello che oggi già vedo.
Era ed E’ quello che voglio. Rappresenta al meglio e fedelmente il mio giardino.”
“Le ho detto signora che non e’ concluso!”
E con un tono severo prese il quadro e se andò per tornare il giorno dopo.
La Signora non capiva.
Il Quadro era concluso. Era la giusta proiezione del suo giardino eppure il Pittore si rifiutava di definirlo finito.

Spesso non ci accontentiamo di quello che riusciamo ad avere nelle nostre mani.
Osare e’ sempre una cosa buona per chi cerca di superare i propri limiti ma e’ pur vero che bisogna riconoscerli e non peccare di presunzione andando oltre quella linea che e’ lecita.
Osare quando si può, quando e’ giusto, quando ne vale la pena.
Il giorno dopo il Pittore prese il suo sgabello e ricominciò a dipingere.
Fece così per ancora due settimane.
Poi incartò il quadro e lo consegnò alla signora.
Lei immediatamente lo aprì e ne rimase sconvolta.
L’elegante dipinto che aveva visto poco tempo prima era diventato una cozzaglia di colori sovrapposti per nulla fedeli alla vera natura.
Piante inventate, statue deformate e un disordine che non apparteneva per nulla alla villa della signora.
Arrabbiata si avvicinò e gli gridò addosso: “perché ha fatto questo? Perché ha rovinato il dipinto?!”
Lui, forte delle sue certezze “Signora questo e’ quello che vedo io”.
“Allora ci vede male perché non corrisponde per nulla a quello che c’è qui fuori.”
“Infatti, questo dipinto e’ quello che vedo io e come dovrebbe essere il suo giardino”
La signora indispettita lo cacciò assieme al suo quadro.
Nel chiudergli la porta lo salutò dicendo: “spesso ci sono persone che in un primo momento vedono quello che e’ davanti a loro e lo accettano di buon grado facendone persino risaltare le migliori qualità. Ma quando subentra la presunzione tutto si rovina. Imporre il proprio sguardo agli altri non e’ giusto ma soprattutto non e’ leale. Lei aveva un giardino avanti e quello doveva dipingere, con il rispetto e la fedeltà che le sono state richieste. Nella vita e’ giusto cambiare ed evolvere, ma solo se parliamo di noi stessi e non degli altri. Impari la lezione. A volte e’ più gradito accettare quello che si ha attorno che stravolgerlo solo per i propri gusti. Ad imporre il proprio Io, perdiamo gli altri. ”

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C’era una volta una piccola goccia di pioggia appena arrivata nel fiume.
Era sola, impaurita.
Non conosceva la sua nuova casa e la Paura è sempre la più grande nemica quando si deve scoprire un nuovo mondo. Ci blocca le mani come se fossero incatenate, ci ferma la voce come se non l’avessimo più.
La paura di sbagliare, di cambiare, di sapere la verità, quella verità che non ci piace.
E la goccia rimase in silenzio, tremante, vicino la roccia.
Vedeva una grande confusione davanti a se.
Gocce che correvano da nord a sud.
Pesci agitati che si rincorrevano.
Alghe che si aggrappavano ad ogni cosa che trovavano sul loro cammino.
Una di loro si aggrappò alla goccia.
E la paura aumentò così tanto da farle uscire la voce: “che vuoi da me? Chi sei? Perché ti aggrappi a me? Lasciami stare!”
La piccola alga però era come lei.
Impaurita, non consapevole di questo moto continuo di cui era succube. “Scusami goccia, non lo farò mai più, non sono mai stata qui e copio quello che fanno gli altri. Qui tutti cercano di attaccarsi a qualcuno, non so se c’è un motivo, non so il perché, ma io per confondermi faccio come loro.”
Che strano il destino: ci allontana da chi amiamo da una vita e ci fa unire a emeriti sconosciuti che diventeranno i pilastri della nostra esistenza.
“No, rimani con me. Ho paura come te.” Disse la goccia un po’ più serena avendo trovata un’altra compagna della sua sventura.
“ E tu che ci fai qui?” disse l’alga alla nuova amica.
“Mi sono persa. Un attimo prima ero una nuvola, grande, leggera maestosa ed ora sono qui, piccola insignificante, sola.”
“Bhè ti sbagli. Non sei sola. Ora ci sono io”
Si guardarono e si sorrisero a vicenda.
“E tu? Perché sei qui”
“Perché è sempre così. Io cambio casa ogni giorno. E’ la mia natura che me lo comanda. Le correnti mi prendono e mi portano sempre via.”
“E la tua famiglia?”
“Quando nasci solo non sai nemmeno cosa è la famiglia. Impari ad amare solo te e la tua ombra.”
A queste parole la goccia giunse un brivido. Quello della solitudine, quello della triste solitudine. Ed ebbe paura. Paura di essere sola come la sua amica alga.
“Ma ora ci sono io! Sarò io la tua famiglia. Ti dedicherò il mio tempo e il mio sorriso così la tua ombra potrà pure riposare e tu imparerai ad amare anche gli altri”
L’alga un po’ triste disse: “ognuno di noi nasce con un progetto. Il Leone nasce per diventare Re della Giungla. Una Sirena nasce per incantare tutti i pescatori. Il Vento per girare in quattro cieli. Tu sei una goccia e il tuo destino è ben altro”
“Ma che dici? Io oramai sono solo una goccia, una piccola e misera goccia. Cosa mai potrò fare della mia vita?”
E’ bella l’ingenuità. L’abbiamo persa in tanti. Se lo fossimo un pochino un po’ tutti forse oggi vivremmo in un mondo dove non c’è sempre il timore della cattiveria altrui. Se fossimo un po’ ingenui vivremmo con più spensieratezza anche le cose più semplici. Se fossimo un po’ più ingenui non saremmo così tanto il brutto dei grandi.
E l’alga riprese a dire: “amica mia, ora si tu sei una goccia, ma vieni dal grande cielo. Ora qui scenderai per chilometri e chilometri. Ti stancherai. Avrai tanti ostacoli. Ma poi cadrai in mare. Capisci, tu sarai il mare? E lo sai, il mare può diventare Oceano.”
La goccia ci pensò e sorrise.
E in quel momento l’alga la lasciò andare.
La goccia piangendo, si dimenò come una pazza: “perché lo hai fatto? Vieni con me! Io sono la tua famiglia. Non voglio lasciarti andare” E intanto la corrente l’allontanò sempre più.
E l’alga la vide andare via.
Perché anche per un momento l’aveva amata quella goccia.
Quell’amore così vero e sincero che gli aprì gli occhi.
Bastò solo un momento per capire che quando si ama davvero, si spera che i sogni dell’altro non si possano avverare.
A volte rinunciando anche ad amarli.
E chi lo sa, magari in un futuro lontano, in un grande oceano, anche quell’alga sarà li, di nuovo aggrappata alla sua goccia.


Mai come quest’anno ho potuto riflettere tanto sulla parola “Amore”.
Quante volte in questi mesi ho sentito qst termine utilizzato, girato e rigirato e abusato come una caramella in bocca.
Ognuno di voi potrà dare la propria chiave di lettura a quello che scriverò.
Amore per una donna o per un uomo, per un figlio, per un mestiere, per una passione, per una squadra, per un amico…
Sempre dello stesso viaggio parliamo e la meta che cambia.
Nello spettacolo di quest’anno c’è una frase che mi colpisce particolarmente e che riassume il mio punto di vista nel vedere il mondo:
“Vince sempre chi lotta per ciò che si ama davvero. Si ama fino all’ultimo, finchè si può, finchè c’è respiro. E tu ricorda che Se è amore altro non puoi fare che amare.”

Finchè si può.
Ecco in tanti mesi ho visto gente “amare” tanto quanto bastava, senza mai andare oltre, senza mai esagerare.
Ci si adattava a quel poco che si poteva dare o ricevere e ci accontentava.
E quando il gioco diventava più duro si gettava la spugna, senza paure, rimorsi e rimpianti.
A loro bastava quello.
Dal mio personalissimo parere queste persone sono molto sfortunate perchè credo che non abbiano mai vissuto veramente quello che i Poeti e gli innamorati chiamano “AMORE”.
Lasciarsi andare, senza razionalità.
Sacrificarsi fino a farsi male.
Cadere per poi rialzarsi con le ginocchia sporche di sangue.
Correre e non passeggiare.
Desiderare e mai aspettare.
Piangere per poi sorridere.
Rinunciare a tanto, a tutto solo per ciò che si ama.
Ecco io vivo così.
Ecco io cerco, anzi cercavo di insegnare questo a chi mi sta vicino.
Si vive d’amore perchè è un bene innato, continuo, innaturale.
E l’amore fa male, tanto pure, perchè nessuna cosa bella ci viene regalata senza un pegno dietro.
E se non vi fa male allora significa che non amate veramente.

Amare significa perdersi nella priorità di ciò che desideriamo.
Metti ciò che ami al primo posto, tutto il resto viene dopo.
Io la penso così.
Forse sarò io il povero alieno di questo Mondo.
O forse, scusate la presunzione, è questo Mondo a essere povero.

…si parla tanto d’amore ma in pochi amano veramente…

Ve la racconto io Mesagne!

Pubblicato: Maggio 23, 2012 in A parole mie...

“Tu sei di mesagne? Dove è successo quel casino con la Mafia a Brindisi?”
Ecco cosa mi è stato detto appena arrivato a Roma qualche giorno fa.
Ma fu solo l’inizio di una diffamazione continua della mia città.

Ma chi meglio di un cittadino può raccontarvi e parlare del proprio Paese?
Allora oggi lo faccio io!
E pretendo la stessa attenzione degli articoli in cui si inneggia Mesagne come capitale della violenza!

Mesagne è un paese di circa 30.000 abitanti in provincia di Brindisi.
E’ uno dei paesi più popolosi del salento, magica terra a cui appartiene.
Nel suo stemma c’è una palma e due spighe a rappresentare la fertilità della terra e il clima caldo e mite.
Dientro di sè ha una lunghissima storia documentata ancora oggi dai suoi innumerevoli e magnifici beni culturali.
Prima centro messapico, poi romano, bizantino, passando per il medioevo, Federico II, il Barocco, per arrivare infine all’età moderna e le due grandi guerre e i simboli ancora impressi in molti palazzi del dispotismo del 900.
Perchè Mesagne è una città che ricorda ciò che ha vissuto e non lo dimentica, anzi è sempre pronta a buttartela in faccia a costo di farti male.
Città prettamente agricola. Chi non conosce il nostro vino, il nostro olio extravergine di oliva? Le pesche saporite, i pomodori, i carciofi e tutti i piatti buonissimi che potete assaporare nelle tante trattorie e ristoranti del paese?
Mesagne è anche città di cultura e sport!
Calcio, basket, tennis, taekwondo, teatro, danza : non abbiamo limiti per far vedere i talenti che portiamo fuori!
Città artigiana e negli ultimi periodi scoperta dai turisti.
Ecco Mesagne è prima di tutto questa!

Mesagne è la città in cui si celebra il 16 Luglio la Festa della Madonna del Carmine, piena di luminarie che illuminano le strade del paese e che affascinano i passeggeri.
Mesagne è la città in cui io a 16 anni camminavo alle 3 di notte per strada senza aver paura.
Mesagne è la città che ha ispirato i miei studi universitari essenso così ricca di storia e ricordi.
Mesagne è la città delle mille masserie che puoi visitare prendendo una bici e facendoti una bella scampagnata nelle nostri colorate campagne.
Mesagne è la città delle venti chiese, simbolo della forte devozione di un popolo fedele.
Mesagne è la città dove fanno la cavalcata dei Re Magi, dove c’era il carnevale, dove si promuove una bella rassegna teatrale, dove io ho iniziato a studiare danza classica e la mia maestra ora si trova a insegnare alla Scala ed io a fare il suo stesso mestiere.
Mesagne è la città che ha il centro storico a forma di cuore così come i suoi cittadini come hanno dimostrato nelle ultime occasioni.
Si, Mesagne è ANCHE il Paese dove è nata la SCU, ma sottolineo ANCHE!
C’è chi ci ha dipinto come gente che vive nella paura e nell’omertà!
C’è chi chi ha scritto che a Mesagne si ha paura di camminare per strada, che chiunque chiede “favori”, che ci sono sparatorie come nel Far West.
Che ciò che è successo quasi sia è il simbolo dimostrativo del mio paese.
A chi ha scritto tutto ciò mando un enorme VAFFANCULO con una scopa ficcata nel posto dove non batte il sole.
Che il piacere del dolore altrui ormai fa gola a molti giornalisti è risaputo, ma sputare su un’intera cittadina che prova in tutti i modi a risollevarsi dai suoi vecchi pregiudizi è ancora più diabolico.
Ognuno dovrebbe fare il suo mestiere solo se lo sa fare ma ho letto in giro tante cose che mi dimostrano che ci sono tanti, troppi “finti giornalisti!.
Io ho 27 anni, sono otto anni che vivo “fuori” dal mio paese per questioni lavorative, ma io la Vita quotidiana nella mia Mesagne non me la sono dimenticata e non ricordo nulla di male che questo Paese mi ha fatto .
E’ un paese, da certi punti di vista piccolo, bigotto, un pò all’ “antica” ma mi sembra normale : è come se chiedessi a mia Nonna di scivermi una mail dal tablet appena uscito.
Ci vuole tempo e costanza per far si che anche le piccole realtà possano crescere e migliorarsi e mea culpa il fatto di non aiutarla essendomene andato via.
Ma ammetto che gli insulti gratuiti dati alla città e ai suoi abitanti mi hanno fatto rabbia, così tanto da voler tornare indietro.

Mesagne piange due sue vittima: la povera Melissa (di cui non voglio parlare non per indelicatezza ma per rispetto di una famiglia che personalmente non conoscevo e non voglio far parte della schiera ipocrita del”povero angelo, ci mancherai, eri bellissima…” come se tutti la conoscessero da anni… mi limito a dire che non c’è nessuna forma di giustizia e integrità mentale nel voler ferire un innocente che va a compiere il suo dovere nella propria discrezione… a 16, a 30, a 90 anni,.. gli innocenti non si toccano.. punto!)
La seconda vittima è la sua stessa dignitò di Città sempre pronta a ricucire le proprie ferite e impegnata a ricostruirsi, oggi vittima dell’audience, del pettegolezzo, dell’ignorante di turno che solo per soldi e fama insulta una storia millenaria e una comunità di brave persone.
SI!, Perchè noi MESAGNESI siamo BRAVE PERSONE!
Dovreste conoscerci per giudicarci.

C’erano una volta due ladri di stelle.
I ladri di stelle ogni notte si svegliano, prendono una luga scala,di quelle che le persone d’oggi non possono più avere e arrivano su nel cielo. E’ tanto alto. Spesso le vertigini si fanno sentire, ma loro imperterriti salgono sempre più su. Sono ladri di stelle e le stelle devono rubare.
Arrivati nel punto più alto, con attenzione le guardano e scelgono quelle di ottime qualità.
Non dovete confondervi. Non sono ladruncoli, sono dei ladri professionisti e loro scelgono solo le stelle più belle, quelle che meritano il rischio di essere scoperti dalla Luna e la sua punizione.
Ne avevano già rubate così tante in questi ultimi anni che le loro case erano così luminose che spesso i più maliziosi le confondevano con piccoli soli tanto la luce che si era accumulata nelle loro quattro mura.
Un giorno un marinaio chiese loro : “ma perché ne rubate così tante? A cosa vi serve tanta fatica?”
I due ladri li per li non seppero rispondere anzi furono pure turbati da quella domanda.
In effetti chi li aveva detto mai che dovevano rubare tutte quelle stelle? A cosa serviva tutto ciò? Perché collezionare tante stelle magari viste una sola volta e poi dimenticate chissà dove?
Insomma quella domanda se la portarono dietro per un po’.
Poi una sera uno dei due capì il senso dei loro furti.
Si rubavano così tante stelle per trovare quella più bella. Quella più luminosa. Quella più vera.
Quella che avrebbe rubato loro gli occhi del cuore.
E fu così che la ricerca continuò per notti e notti.
Ora dopo ora.
Stella dopo stella.
Ma poi arrivò quella notte speciale. Era la notte delle stelle cadenti, quelal in cui era più facile catturarne tante perché erano loro stesse che si gettavano nelle reti dei ladri. Eppure uno dei due proprio quella sera le chiuse decidendo che in tanto macello avrebbe dovuto stare più attento perché forse ssarebbe stata la volta buona per vedere ciòc he cercavano.
Il compagno gli diede del pazzo e si allontanò per catturare più vittime possibili.
L’altro si mise su una nuvola a fissare il cielo e la terra.
Forse serve ogni tanto stare fermi e soli.
Si sentono e vedono cose che il frastuono copre.
Che la confusione nasconde.
Che la distrazione non scrute.
L’alba si stava avvicinando e il ladro era a mani vuote. Un po’ sconfortato riprese il suo zaino e si avvicinò alla scala per scendere dal cielo. Scontento perché la speranza si era trasformata in’ illusione, di quelle che ammazzano i sogni e le aspettative e ti fanno sentire più piccolo di quello che già sei.
Ma proprio in quel momento, appena appoggiò il suo piede al primo gradino vide appeso ad una corda della sua scala una piccola stella che piangeva. Piccola, innocente, ma con una luce fioca, spezzat, sembrava azzurra. Una cosa unica. Diversa. Speciale. Ecco. La lunga attesa era finita. La sua stella l’aveva trovata.
La mise fra le sue braccia e la cullò.
La stella iniziò anche a sorridere.
E ad ogni sorriso la stella si accendeva sempre più.
Solo l’amore riesce a far splendere ciò che era spento.
Dopo vari giorni la sua amica era talmente splendente da far invidia a tutta la luce che le altre mille stelle facevano insieme nella casa.
La sua luce azzurra era unica. Lei era speciale per lui.
Era la sua stella, e lui era il suo ladro.
Ciò che è vero fa rumore nel silenzio, dà luce al buio, sorride dopo ci si lamenta.
Il compagno vide tutto ciò e geloso si avvicinò e gli disse: “ se tu mi dai solo quella stella io ti regalo la mia scala e le mie armi così avrai il doppio delle forze per rubarne quante ne vuoi. Sarai il più ricco dei ladri.”
Ma lui con un cenno di capo rifiuto la prima offerta e riprese a coccolare al sua stella.
Dopo qualche giorno gli fece un’altra offerta : “io ti regalo in cambio di quella sola tua stella le mie mille stelle rubate in questi anni. Ti rendi conto? Una sola per mille? Accetta la mia offerta.”
Ma anche questa volta con un semplice movimento di testa rifiutò la seconda proposta.
La notizia si sparse nei sette cieli e fu così che tutti i ladri di stelle si recarono alla sua casa per ammirare la stella azzurra e tutti per rubarla.
Succede sempre così: quando la Regina trova il suo Re tutti i Principi diventano pretendenti.
Tutti a promettere cieli, stelle, continenti, castelli e armi.
Ognuno a modo suo tentava il ladro della stella azzurra.
Tutti li a promettere ciò che in passato non avrebbero mai ostentato.
E’ l’indole umana a fare così: a rubare sempre ciò che è di qualcun altro.
A dare il valore all’oro solo quando è in vetrina e non quando è conservata nella sua miniera.
Ma mai la stessa pioggia cadrà sullo stesso tetto e non si può rimpiangere quella che non sei riuscita a prendere quando è caduta.
E il nostro ladro capì questo errore umano e nulla lo avrebbe allonatanato dal suo piccolo tesoro.
Perché lui lo riconobbe. Fu questo il segreto.
Fra le tante stelle capì che quella piccola briciola luminosa poteva essere una ricchezza infinita per le sue braccia e per il suo cuore.
E nessuna tentazione, nessuna promessa, nessun corteggiamento gli avrebbe fatto dimenticare l’amore che riservava per ciò che era suo.
Se ami la tua stella, non puoi dimenticarti mai della sua luce.

Questo è il segreto per scoprire un amore. Aspettare, tenendo aperti gli occhi e il cuore, guardando con attenzione la folla che attraversi.
Se lo riconosci nella confusione, allora quella sarà la tua stella. E nessuna stella potrà prometterti lo stesso amore.
C’è una sola stella per ogni ladro.

21/02/2012

Quando si è bambini tutto sembra più facile e bello perché è la curiosità degli occhi innocenti spinge questi animi nuovi a scoprire sempre cosa c’è dietro l’angolo, non capendo magari che questo si trova chissà a quale lontananza.
Poi si cresce e la curiosità lascia spazio troppe volte alla pigrizia e alla comodità, tanto che ci si annoia facilmente anche di una semplice passeggiata di pochi passi per scoprire la grandezza del mare.
Due formiche erano li, sotto quella piccola collina che per loro sembrava una montagna enorme.
La Regina aveva ordinato la raccolta delle ghiande più pregiate per l’inverno pronto ormai ad arrivare.
Il campo del formicaio era pieno di alberi e di ghiande a terra ma queste due formiche, forse troppe ambiziose per le loro possibilità, avevano scelto quelle appoggiate sulla vetta della “montagna” perché a quanto si diceva erano le più preziose e le più saporite.
“Sai la grande soddisfazione che avrà la Regina nel riceverle?
Ci pensi alla riconoscenza che avrà nei nostri confronti?
Ti immagini quanto saremo orgogliosi dopo averle donate alla nostra Donna?”
Questi i primi pensieri delle nostre due amiche.
Per amore si fa di tutto.
Si lotta contri i “No” di qualcuno.
Si combatte per le Guerre già perse in partenza.
Ci si da, completamente e totalmente, senza nemmeno accorgersene.
E allora iniziò la prima scalata.
Era difficile, ripida, piena di pietre e spine.
Le cose più belle si trovano sempre dove c’è il dolore e la fatica. Per questo sono più belle delle altre, perché sono conquistate con il coraggio di chi è in guerra.
Altri insetti provarono a ostacolare i nostri due amici.
Persino un serpente sinuoso cercò di corteggiarli sviando il loro cammino.
Ma l’amore per la Regina era così forte da rendere sorde le orecchie delle due formiche al canto di chi appare e non è.
Scese anche la pioggia e la grandine quasi a voler fermare il coraggio di questi due piccoli ometti. Loro erano pure intelligenti e sapevano benissimo che anche il cavaliere più forte deve chinare ogni tanto il capo quando il Destino ti chiede di fermarti. Riposarono. Le loro zampette ne avevano bisogno. E forse quella pioggia distruttrice, che all’occhio dello stolto poteva sembrare una “perdita di tempo” non era altro che il momento di tregua che il fato donava ai nostri due amici.
A volte non capiamo che il mare agitato serve per far riposare le vele stanche delle nostre barche.
Tornò il Sole cosi come la voglia di viaggiare delle due formiche.
Una pietra cadde su di loro e del sangue tinse quelle giornate. Ci si ferisce sempre quando si vuole qualcosa.
Ma poi un giorno dopo tanta pazienza e costanza eccoli li, loro due sulla vetta della loro impresa.
Le uniche due formiche che ce l’avevano fatta.
Di eroi ce ne sono sempre troppo pochi, ecco perché non si vedono tanto in giro.
Dopo sofferenze, pause, dolori e tanta speranza ce l’avevano fatta, la loro impresa era riuscita.
Presero due grandi foglie e le riempirono del frutto di quella terra tanto sconosciuta.
Erano grandissime le ghiande, di un colore vivace e di un odore nuovo e invitante.
La discesa fu molto più semplice e veloce.
Quando hai scalato le tue paure tutto ti sembra più facile.
Ritornarono nel formicaio.
Fra gli occhi invidiosi dei compagni.
E’ ovvio: chi vince con le proprie mani è sempre odiato da chi non sa nemmeno cosa significa lottare. La gente che si accontenta è così, vuota e comoda, e non conosce la parola “emozione”.
Le due formiche si presentarono dalla Regina che avendo ascoltato le avventure dei due piccoli cavalieri seppe apprezzare più il gesto che il dono ricevuto. Lei era saggia, non era la ghianda saporita a essere il suo trofeo, ma l’amore incondizionato di queste due piccole amiche pronte a morire per dimostrare questo grande amore.
E lei scese dal suo trono, cosa che non aveva mai fatto prima, si avvicinò alle due e regalò loro due baci.

Le due formiche conobbero l’amore, quello vero, quello invidiato dagli stupidi, quello magico, quello che vi è solo una volta nella vita, quello che riconosci subito nella più grande confusione.
Quell’amore che hai saputo aspettare e per il quale hai dovuto lottare.
Quell’amore di cui ora sei degno di vivere.

“Aspettare te” di Mino Bianco

Pubblicato: novembre 1, 2011 in A parole mie...

Aspettare te.

Un giorno presi una penna e un foglio.
Non sapevo che farne.
La mia mano ancora non pensava a cosa scrivere.
Io, chiusi i miei occhi perché non volevo vedere.
L’immagine del Mondo rovina la Fantasia.
Spensi la mia radio perché non volevo sentire.
Il rumore della Gente distrugge l’Armonia della Pace.
Sfiorai quella pagina così bianca e mi faceva paura.
Bianca perché nulla era scritto.
Tutto era nuovo, o forse era tutto così vecchio da non voler riscrivere le stesse cose.
Rimasi così per alcuni giorni.
Poi piano la mia mano iniziò a poggiare la penna sul foglio.
Lei era timida e arrossiva per l’imbarazzo.
Ma poi trovò il coraggio di lasciarsi andare nella sua stessa impugnatura.
Forte, decisa.
Lei iniziò a narrare.
Non ero io a decidere, era la mia mano.
Scelse lei le storie da raccontare.
Cosa scrivere, cosa cancellare, cosa dimenticare e cosa immaginare.
Ma poi il mio braccio imbranato fece cadere del colore a tempera verde su alcune scritte.
Le mie unghie appena smaltate le sporcarono di rosso.
Una goccia di miele appena assaporato scivolò dalle mie labbra.
La nera cenere della mia ultima sigaretta bruciò l’angolo del mio scritto.
Ma la mia mano scriveva.
A lei non importavano i colori che entravano fra le sue righe.
Era suo il foglio e lei doveva scrivere.
Aveva deciso di poterlo fare.
Era tutto meraviglioso perché significava che aveva qualcosa di cui parlare.
Poi all’improvviso la penna non si comportò più bene.
Dalla sua punta solo graffi alla mia pagina.
L’inchiostro era finito.
E non sapevo più che fare.
La mia mano voleva ancora scrivere.
Ne sentiva il bisogno.
Aveva fame di inventare storie e fiabe.
Ma l’inchiostro era finito.
Ed io dovevo aspettare.
Aspettare che qualcuno mi regalasse una nuova penna.
Una nuova per continuare i miei racconti.
Una penna per inventare.
Una penna per costruire su questo foglio una nuova frase.
Ma l’inchiostro era finito ed io dovevo aspettare.
Aspettare te.

.. non si deve aver paura delle cose che finiscono, perché saranno l’inizio di qualcosa di più grande…

“Io certa Gente non la concepisco proprio!… cioè come si fa essere così? Senza meta, senza energia, senza sapere dove e cosa fare? ”
Serena spesso parlava ad alta voce e rifletteva.
Si parlava da sola. Ogni tanto sua madre quando entrava nella sua stanza così all’improvviso e la vedeva chiacchierare con l’aria le diceva “Tu, o sei pazza o sei una visionaria e vedi i Santi nel soffitto!” e la ragazza ridendo le rispondeva ogni qualvolta “Dai mamma vattene che devo finire questo discorso che è importante!”
Serena, di nome e di fatto.
Si, fondamentalmente lei era felice . Ho detto fondamentalmente perché anche lei sapeva che non si può essere mai felici del tutto, perché i nostri desideri sono così mutevoli che nemmeno quando la nostra mano è piena di ciò che volevamo, già sta cercando qualcos’ altro.
Oggi rifletteva su quello che aveva visto nel suo gruppo di alcuni vecchi amici.
Zombie. Persone che si fanno trascinare da quello che decide un leader. Persone che dicono sempre un “si” che è talmente debole che nemmeno il proprio orecchio lo sente. Accomodanti, spenti, al punto di essere noiosi. Lei li definiva “sabbia”. Del tipo che durante una serata lei, vedendo la solita apatia dei suoi compagni, si alzò sulla sedia, davanti a tutti e iniziò a dire “Io da oggi vi chiamerò Sabbia!”
Gli altri sconcertanti e imbarazzati da quella scena, perché la gente come questa preferisce essere nascosta nella Massa senza attirare l’attenzione dello sconosciuto, iniziarono a dire a bassa voce ( … che palle, nemmeno durante una figuraccia riescono a essere un po’ prepotenti…) “ehi tu, scendi e fai la brava! Tutti ci stanno guardando! Che vuoi farci diventare lo zimbello del locale?”
Ma lei per niente disturbata continuò a dire ad alta voce (quasi come se fosse una sfida alla voce bassa dei suoi amici) , guardandoli negli occhi: “voi siete sabbia, né terra, né mare. Siete in mezzo senza essere. Siete così leggeri che anche il Vento vi può portare via. Siete così poco forti che spesso il Mare vi divora! Siete così insignificanti tanto che pure la Terra e i suoi fiori vi evitano! Sveglia cari!!!! Iniziate a essere, a scegliere, a crescere, a migliorarsi! Scegliete, siete liberi di farlo! Potrete essere un Mare in Tempesta, una Terra fertile, una Sorgente dissetante, una Dura Pietra, Ma scegliete di essere… non accontentavi di sopravvivere. “
Poi si sedette, come se niente fosse continuò a cenare.
Il giorno dopo nessuno di loro la cercò più.
E nemmeno la settimana successiva.
A dire il vero per tutto l’anno.
Ma a Serena questo poco importava. L’importante per lei era la sua anima, pulita, coerente e leale prima di tutto con se stessa, e poi con il Mondo circostante. E chi non accettava questo forse non meritava il posto affianco nella sua macchina. “Se ami il cielo, ami anche le sue nuvole” se lo diceva quando vedeva che qualcuno provava a cambiarla, a fermala, a dirle cosa fare! Mai e poi mai! Siamo nati liberi e liberi bisogna vivere, e liberi bisogna perire!
Ma tanta Forza spesso ci rende soli.
E così lei si trovò un giorno di Primavera sulla riva del suo Mare.
Era passato un altro anno.
Trecentosessantacinque giorni strani. Forse disarmanti.
Il suo Lui con un “tu sei troppo per me” la mollò su un Ponte mentre pioveva. Era il Cielo che piangeva per Lei. Serena non voleva regalare nemmeno una piccola dimostrazione di debolezza a colui che aveva donato un cuore puro, il suo, ed era stato dato indietro come un vestito della sbagliata misura.
Pensava anche ai suoi amici “sabbia” e all’indifferenza con la quale l’avevano trattata. Alle conseguenze della sua lingua fin troppo sincera tanto da sputare la realtà a chi finge. E la banconota di Monopoli crede di essere un soldo vero, non gli puoi togliere questa finzione che per lui è Verità.
E poi rifletteva su di lei. Così giovane su una spiaggia solitaria. “Forse sto sbagliando. Forse devo smetterla di guardare, osservare e giudicare tutto e tutti. Forse devo diventare anche io come la Sabbia, inerme a ciò che mi capiterà . E’ troppo strano che tutto ciò che io inizio finisca. Ci devono essere cose che prima o poi devono continuare ad accompagnarmi con pazienza e devozione, come fa il fedele con la statua del suo Santo! Non posso rischiare di perdere tutto ciò che ho solo nel nome della coerenza! Non tutto deve finire.”
Una prima lacrima bagnò il viso della ragazza.
“Ricordati che tutte le strade davanti al mare finiscono.”
Una voce spaventò Serena. Chi parlava era un Pescatore. Anziano, con le rughe sul viso, simboli del lavoro di una Vita. Era buono, gli occhi lo dicevano. Aveva sentito le confidenze della nostra amica. “Mi sa tanto che tu hai l’animo di un Pescatore ragazza!”
“Come signore?”
“Tu parli da sola, ad alta voce, al Mare. Parli di cose che finiscono. Parli come un Pescatore. Anche noi siamo solitari, anche noi parliamo con Lui che conosce tutti i nostri segreti. Anche noi odiamo la sabbia che ci incaglia e ci ferma contro il nostro volere, piuttosto amiamo il mare che ci fa navigare o la Terra che ci fa riposare! Ma mia giovane ragazza, ricordati nella Vita tutte le cose prima o poi finiscono e si trasformano.”
“Non capisco Pescatore”
“Tu oggi sei venuta con la tua macchina fin qui. Hai percorso una strada. La tua strada. Ma essa poi non poteva andare avanti, ha dovuto lasciar spazio al Mare. Lei si è fermata e si è conclusa. Perché poi il Mare doveva avere il suo inizio. Ecco, la Vita è così. Fa si che dopo la tua Strada possa iniziare un immenso Oceano. E ricordati che mentre sulla tua via potrai anche non trovare nessun passante, sai molti per pigrizia fanno solo pochi passi, nell’Oceano non sarai mai sola. Quello è il Mondo di chi esplora se stesso con fedeltà! Quello è lo spazio di chi osa. Arriva a questo Mare, lì, la sabbia è troppo in profondità da vederla e toccarla. E lì che inizia la tua strada.

“Un lupo ed un agnello, spinti dalla sete, erano giunti allo stesso ruscello.
Più in alto si fermò il lupo, molto più in basso si mise l’agnello. Allora quel furfante, spinto dalla sua sfrenata golosità, cercò un pretesto per litigare. “Perché”, disse, “intorbidi l’acqua che sto bevendo?” Pieno di timore l’agnello rispose: “Scusa, come posso fare ciò che tu mi rimproveri? Io bevo l’acqua che passa prima da te”. E il lupo, sconfitto dall’evidenza del fatto, disse: “Sei mesi fa hai parlato male di me”. E l’agnello ribatté: “Ma io sei mesi fa non ero ancora nato!”. Il lupo, arrabbiatissimo: “Allora fu tuo padre a parlare male di me”….. “

…..

…. Ma l’agnello rispose “non era la mia bocca a parlare, non puoi incolpare me per quello che ha fatto qualcun altro… “ . Il lupo non riusciva più a trovare la scusante per avvicinarsi e divorare quell’agnello. Doveva raggirarlo, doveva prendersi gioco di lui e poi divorare le sue carni…
Si avvicinò di nuovo e gli disse “piccolo agnello, posso bere assieme a te? Se tu non sporchi la mia acqua e non hai parlato male di me potremmo essere amici.”
L’agnello impaurito: “assolutamente no! Vai via da me! Che cosa vuoi? Mi vuoi uccidere? Perché? Cosa ti ho fatto di male?”
Il Lupo falsamente rispose: “Ma no, non ti voglio mangiare… voglio solo bere vicino a te… non ti preoccupare!” e si avvicinò alla povera vittima. “Come mai sei solo?” continuò a parlare, “Non è bene che un piccolo agnello come te sia da solo qui in giro, ci sono molti pericoli, piccolo e ingenuo come sei…”
L’agnello gli rispose: “Sono solo perché sono orfano. Me la devo vedere da me, solo con le mie forze. Ci sono molti pericoli qui, ma li devo affrontare altrimenti non sarò mai pronto a superare gli ostacoli più alti di me. Ora tu, che cosa vuoi da me? La natura mi ha detto che i lupi mangiano gli agnelli, ma adesso tu sei qui, affianco a me, a parlare, ed è per questo che ora non ti temo!”
Il lupo in effetti si stupì di quella sua reazione: aveva la sua vittima davanti e non agiva… perché? Come mai nonostante la sua fame non aggredì quell’indifeso animale che aveva davanti? Non si dava risposta…
Tutto ciò accadde ogni giorno…
Si incontravano lì al fiume, bevevano, chiacchieravano, ridevano e poi ognuno per la sua strada, come se tutto ciò fosse naturale.
Sembrava persino che fosse nata un’amicizia…

Ma a volte il forte diventa umile, il debole superbo….

Arrivò l’estate, un’estate caldissima che si portò addietro una gravosa siccità… i laghi si prosciugarono, i fiumi incominciarono a soffrire di vere e proprie secche: la sopravvivenza di tutta la natura era davvero messa a rischio.
Un giorno l’agnello arrivò al fiume con altri sei compagni. Incontrò il Lupo che con un bel sorriso lo salutò “Buongiorno!!!!! Un po’ ritardatari oggi??? Oh, sei venuto con degli amici!”. Ma l’agnello freddamente disse: “tu predatore, rubi la nostra acqua, devi fuggire dalle nostre terre, non sei ben voluto, devi andare via!”
Il Lupo non capiva:” Ma io e te siamo amici ormai, perché mi fai questo? Ho lasciato che la mia fame non fosse ripagata per lasciare te in vita, e tu ora mi tradisci? Perché? ”
L’agnello con indifferenza lo spinse lontano dal fiume e con forza e violenza il Lupo fu esiliato da quella terra, tradito da chi gli era più vicino.
E fu così che l’agnello divenne più furbo del Lupo…
… perché a volte il forte diventa umile, il debole superbo….

un treno

Pubblicato: ottobre 25, 2011 in A parole mie...